Guirlande d’Amour
Testo originale: Ernest Laut, 1912
Traduzione di Barbara Avallone, 1995 da “Stat Rosa”
E’ sembrata singolare ed interessante questa storia della rosa trovata a Porta Portese, firmata “Ernest Laut”.
E così viene proposta integralmente.
Da Colonia si annuncia la proposta di celebrare questo anno il giubileo della rosa nella provincia renana. Sono passati esattamente undici secoli da quando Carlomagno introdusse la coltivazione di questo fiore nell’impero dei Franchi. Un ordine reale dell’812 prescriveva di piantarne in tutti i giardini dei castelli reali. Ben presto si vide in tutte le contrade del Reno, e soprattutto in Alsazia, la rosa rimpiazzare l’eglantina, che era già conosciuta al tempo dei Romani.
A questo proposito abbiamo dedicato l’incisione della prima pagina alla gloria della rosa ed abbiamo fatto la storia succinta di questa regina dei nostri giardini sul nostro “Varietà”.
Un editto di Carlomagno.
Dunque, sono undici secoli da quando l’imperatore Carlomagno ordinò con un editto che i roseti fossero piantati in tutti i giardini del regno; ed è per celebrare questo lontano anniversario della diffusione della rosa nei paesi franchi, che si preparano, nei dintorni di Colonia, grandi festeggiamenti che avranno luogo prossimamente in onore della regina dei fiori. Ma è vero che fu solo nell’812 che la rosa fu introdotta nel nostro paese? Non è assai probabile che essa fosse conosciuta prima?
I Romani dovevano averla introdotta alcuni secoli avanti, visto che essi ebbero una vera passione per la rosa.
I Greci non la amarono meno. Essi consacrarono le rose a Venere e le loro leggende assicurano che la più bella delle dee e la più bella fra tutti i fiori erano nate nello stesso tempo.
E’ questa vecchia credenza che Parny ha tradotto nelle seguenti quartine:
Quando Venere, uscendo dal seno dei mari, sorrise agli dei incantati dalla sua presenza, un nuovo giorno illuminò l’universo. In questo momento la rosa prese vita.
La rosa, la sua leggenda e la sua storia.
A Roma, sotto l’impero, non vi erano feste senza le rose. I convitati se ne incoronavano durante i festini; i raffinati ne cospargevano i loro giacigli. Si sfogliavano persino le rose nelle coppe, per profumare il vino. Dappertutto in Italia, in quel tempo, si trovavano dei giardini di rose, dove i roseti fiorivano in inverno come in estate. Virgilio non aveva forse già celebrato i giardini di Paestum “dove le rose fiorivano due volte l’anno”? Plinio il Giovane non descrisse anche lui i boschetti di rose nella sua città? E’ da presumere che le invasioni dei barbari abbiano distrutto in Gallia e in Italia i roseti creati dai Romani. La coltivazione della rosa cadde nell’oblio con tutto quello che la civiltà romana aveva creato.
Passarono degli anni.
La rosa, tuttavia, non era affatto morta.
Dei roseti rifiorirono sulle rovine. Furono raccolti nei giardini dei monasteri. Ed è là che, apparentemente, il vecchio imperatore dalla barba folta li ritrovò. E’ probabile che le specie di rose conosciute in quella epoca in Europa fossero poco numerose. Ma i Crociati stavano per introdurre da noi delle nuove specie. Molti signori riportarono dall’oriente delle rose fino ad allora sconosciute.
In particolare sembra che la rosa di Provins sia stata portata da un conte di Brie di ritorno da una spedizione nei luoghi santi. Da allora la coltura di questa specie di rose è patrimonio della graziosa città di Provins.
Ad ogni modo ciò che prova che la rosa fosse conosciuta e coltivata nel nostro paese, specialmente nel mondo monastico, molto prima dell’editto di Carlomagno, è l’istituzione della festa della rosa, che risale all’inizio del sesto secolo, cioè trecento anni prima che il grande imperatore si preoccupasse di diffondere la coltura del roseto.
Le “ragazze virtuose”.
Il creatore di questa “Festa delle rose” fu – chi lo crederebbe – un venerabile beato al quale il pregiudizio popolare ha dato la reputazione di uomo tetro e che fu invece uno dei migliori pastori dell’antica Francia. Non è altri che San Médard. Vescovo di Noyon nel sesto secolo, San Médard immaginò di ricompensare, con una solenne cerimonia, la ragazza più virtuosa tra i suoi fedeli.
Ciò facendo, glorificando pubblicamente la virtù, egli intendeva combattere numerosi costumi immorali allora molto diffusi in Piccardia, e soprattutto il famoso diritto di “prélibation”, di cui i signori del paese si dimostravano molto gelosi.
La festa ebbe luogo, per la prima volta, a Salency, città natale del prelato e la prima ragazza virtuosa incoronata fu, secondo la tradizione, la sorella di San Médard, la quale godeva della migliore reputazione in tutta la contea.
Il vescovo, colpito dai vantaggi che una simile cerimonia poteva avere sul popolo dal punto di vista morale, decise di perpetuarla. Egli staccò dai suoi possedimenti 12 arpenti di terra e decise che il loro provento sarebbe servito sia a creare una rendita di 25 libbre a favore della ragazza virtuosa che a pagare le spese della cerimonia.
Così, grazie a questa fondazione, questa festa in cui trionfava la virtù si rinnovò ogni anno fino alla fine del diciottesimo secolo, a Salency.
Era l’8 giugno, festa di San Médard, che aveva luogo la cerimonia, in mezzo all’allegria generale.
- de Sauvigny, nel suo studio “La ragazza virtuosa di Salency”, ce ne ha lasciato una pittoresca descrizione: “Verso le due del pomeriggio, la ragazza virtuosa, vestita di bianco, con riccioli, cipria, i capelli sciolti sulle spalle in grossi boccoli, accompagnata dalla famiglia e da dodici ragazze anch’esse vestite di bianco, cinte da un grande nastro blu, accompagnate per mano da dodici ragazzi del villaggio, si recano al castello di Salency, al suono di tamburi, violini, zampogna, ecc. Il signore in persona va a ricevere la ragazza che gli fa un piccolo omaggio per ringraziarlo della preferenza ottenuta. Poi il signore ed il suo balivo le danno ciascuno la mano e, preceduti dagli strumenti, seguiti da numeroso corteo, la conducono nella cappella di San Médard. Là l’officiante pone la corona di rose sulla testa della ragazza e le rimette nello stesso tempo le 25 libbre in presenza del signore e degli ufficiali di giustizia… Da lì, tutta l’assemblea si reca nella corte del castello, dove il signore balla la prima danza con la ragazza; poi il ballo campestre si prolunga fino alla fine del giorno…”.
La Signora da Genlis, che un giorno assisteva alla festa della rosa, a Salency, ne ha fatto una relazione meravigliosa: ed è lei che ha contribuito più di tutti a far conoscere e a diffondere nell’Ile de France il grazioso costume piccardo.
“Andammo a Salency – raccontò la signora – per incoronare la giovane ragazza virtuosa… Ascoltai un discorso del curato, toccante e pieno di sentimenti religiosi: vidi la madre ed il vecchio venerabile, padre della ragazza, che si sciolsero in lagrime per tutta la durata della cerimonia.
Pranzai in un frascato tutto ricoperto da ghirlande di rose. Al dessert cantammo delle strofe deliziose. La sera, danzai sul prato fino a mezzanotte al suono della zampogna con i buoni abitanti di Salency e passai la più deliziosa delle giornate”.
Nel corso del diciottesimo secolo, diverse località di Piccardia, Normandia e delle Ardenne istituirono delle cerimonie simili a quella di Salency. Ma la Rivoluzione dette il colpo fatale alla incoronazione di ragazze virtuose. Si organizzarono tuttavia in questo periodo molte feste civili in onore dell’Infanzia e della Vecchiaia, della Morale e della Virtù, ma non si fece rivivere quella che era di origine feudale e religiosa.
Il diciannovesimo secolo rinnovò la tradizione. Nanterre ebbe l’onore di rinnovare il culto delle ragazze virtuose. Ben presto il suo esempio fu seguito e Puteaux, Suresnes, Montreuil, Enghien, Saint-Cloud, Fontenay-aux-Roses e tante altre belle città che circondano la capitale con la loro grazia e freschezza, ebbero le loro ragazze virtuose.
Dappertutto si son trovati dei filantropi pronti a creare delle fondazioni di beneficenza a favore di ragazze povere e virtuose.
Ai giorni nostri il sindaco del comune sostituisce il signore del villaggio, ed una dote consistente, che permette alla ragazza di trovar marito, si è sostituita all’antico cappello di rose ad alle 25 libbre del buon San Médard.
Noi siamo lontani da Salency e dalla sua cerimonia semplice e se la Signora da Genlis tornasse su questa terra, avrebbe difficoltà a riconoscere la semplice festa della rosa che ha cantato ai vecchi tempi.
Ma l’istituzione sussiste e questo è l’essenziale, poiché essa incoraggia, protegge e ricompensa il Lavoro e la Virtù.
Il Medio Evo ha amato la rosa non meno dell’antichità. Essa fu presente in tutte le feste. Parigi aveva una numerosa corporazione di “fiorai” e “fioraie” che coltivavano soprattutto le rose; ed un’altra, non meno numerosa, di “cappellai di rose” che, per le solennità e i giochi di ogni sorta, confezionava “corone di rose” con cui si cingevano i vincitori.
In quel tempo, durante la bella stagione, molte ragazze non portavano altro copricapo: Guillaume de Nangis riferisce che Saint Louis ordinò alle sue figlie di portare, il venerdì, un cappello di rose in ricordo della santa corona di spine.
Il Parlamento fiorito.
A partire dal dodicesimo secolo, il villaggio di Fontenay-aux-Roses fu celebre per la bellezza dei suoi roseti; ed è da lì che i fiorai di Parigi trassero le loro rose più belle. Di questi fiori si faceva un consumo considerevole in tutte le feste corporative, in tutte le solennità. In certi giorni persino il grave Palazzo di Giustizia si riempiva di rose. Era il giorno di una festa profumata che si chiamava l’”offerta delle rose”. In quel giorno il pari del Parlamento, chiamato a presiedere l’assemblea, faceva cospargere di fiori, e particolarmente di rose, tutte le stanze del palazzo. Offriva un festino in cui i consiglieri si coronavano di rose e si recavano poi in ogni sala, preceduti da ufficiali giudiziari che portavano grandi vassoi coperti di fasci di rose. E cominciava la distribuzione. Presidenti, consiglieri, cancellieri, ufficiali giudiziari, tutti avevano il proprio mazzo di rose. Bei tempi quelli, quando la magistratura metteva questa grazia profumata nelle sue solennità!
Ispahan.
La Persia è sempre stata il paese delle rose. I poeti dell’Iran hanno cantato la rosa in tutti modi. “La terra di Shiraz, scrisse Hafiz, non cesserà mai di portare delle rose”. E Saadi ha scritto tutto un poema, il “Gulistan”, giardino delle rose, in onore della regina dei fiori.
Ispahan resta, nella Persia moderna, la città delle rose. Pierre Loti, non suo libro “Verso Ispahan”, scrisse: “Rose, rose dappertutto. Tutte le dame hanno un mazzo di rose in mano. Tutti i piccoli venditori di tè o di dolciumi, lungo la strada, hanno delle rose che riempiono i loro vassoi, rose appuntate sulla cintura e i mendicanti pidocchiosi, accovacciati sotto le ogive, tormentano delle rose fra le dita”.
Entrando a Ispahan, Loti non vede che rose: “Da ogni lato della via, dei folti cespugli di rose formano una bordura; dietro ci sono giardini nei quali si scorgono, tra alberi centenari, delle case o dei palazzi, in rovina forse, ma non si vede molto, tanto è spesso il fogliame. Queste macchie folte di rosai in piena strada, che i passanti possono saccheggiare, fioriscono con una esuberanza folle e poiché è l’epoca della raccolta per comporre i profumi, delle donne velate sono in mezzo ai rosai, forbici alla mano, e tagliano, tagliano, facendo cadere una pioggia di petali; ci sono dei cesti di rose posati da ogni lato, e delle montagne di rose per terra… Qui si vive nell’ossessione delle rose. Da quando apro la mia porta al mattino, il giardiniere si affretta a portarmene un mazzo, appena colto e ancora umido di rugiada. Nei caffè vi vengono date con la tradizionale tazzina di tè. Nelle strade i mendicanti ve le offrono, povere rose che per pietà non si rifiutano mai, ma che si osa appena toccare, uscendo da quelle mani…”.
La Bulgaria e l’essenza di rose.
Anche l’Europa ha oggi il suo paese delle rose; è la Bulgaria. La coltivazione della rosa è un’industria florida in questo paese. E’ lì che si fabbrica, in grande quantità, l’essenza di rose consumata dalle farmacie e profumerie d’Europa.
Sono dei francesi che crearono e che continuano a sfruttare l’industria di rose in Bulgaria.
E’ nella pittoresca valle della Maritza, chiamata più spesso valle delle rose, ai piedi dei Balcani e a una sessantina di chilometri a nord di Filippoli, che si trovano i campi di rose. Essi si stendono su una superficie di quasi 10.000 ettari. La rosa dalla coltivazione più diffusa è quella rossa, particolarmente odorosa.
La raccolta dura 15 giorni, tra la fine di maggio e la metà di giugno. In media ogni anno si raccolgono 25 milioni di chili di rose, che, distillate, danno circa 5.000 chili di essenza.
I nostri roseti.
Nell’Europa occidentale si coltiva generalmente la rosa più per piacere che per profitto. La Germania, sin dal tredicesimo secolo, aveva i suoi celebri “rosengarten” (giardini di rose). Si citava quello di Worms, piantato in una isola del Reno dalla bella Krienhilde, figlia del re Kibich. Era lungo una lega e largo una mezza lega. Anche il Granducato del Lussemburgo possiede, da tempo immemorabile, dei superbi campi di rose.
In Francia i grandi giardinieri dei tempi classici sembrano aver sacrificato poco al culto delle rose. Nessun roseto nei giardini all’epoca di Le Notre e della Quintinie. Solo in questi ultimi anni sono stati creati da noi dei giardini di rose.
Il più celebre, il più bello fra i belli è quello di l’Hay, nella valle della Bièvre, a qualche chilometro da Parigi. E’ opera di un vecchio industriale che ha dedicato il suo tempo libero, la sua fortuna, la sua scienza di rosicoltore alla glorificazione del più bello dei fiori. Si trovano lì migliaia e migliaia di rose di specie diverse, rose che vengono da tutte le parti del mondo, dall’Asia Minore, dal Caucaso, dalla Persia, da Cipro, dall’Africa, dall’America del Nord, dall’Australia, dalla Cina, dal Giappone.
Anche Bagatelle ha il suo roseto, filiale di quello di l’Hay. Bagatelle è il nostro roseto nazionale. Per questo motivo, perché non celebrarvi, come si sta per fare nella provincia renana, l’anniversario dell’undicesimo centenario dell’editto di Carlomagno? Sarebbe una bella festa in onore delle rose di Francia.
Barbara Avallone
nata a Sondrio vive e opera a Roma e Sulmona.
Laureata in lingue e letterature straniere, ha tradotto, tra l’altro, “Viaggio dei tre Abruzzi” di Edward Lear.
Dell’Abruzzo si occupa nuovamente con uno studio dei “Medicamina faciei feminae” di Ovidio, con particolare attenzione all’uso cosmetico delle rose nel mondo antico.